E' nella preghiera eucaristica che si rende maggiormente evidente l'universalismo [della preghiera cristiana] e, con esso, il riflesso della relazione di responsabilità che lega la Chiesa con il mondo e con l'umanità. La ricerca teologica ha già rilevato da tempo, infatti, tutta l'ambiguità di una concezione pietistica e individualistica dell'eucaristia, per evidenziare l'intrinseco nesso che lega il mistero eucaristico a quello ecclesiale. Essa è particolarmente illuminante, però, laddove aiuta a scoprire quale sia la domanda fondamentale che la Chiesa rivolge a Dio Padre attraverso le parole della preghiera eucaristica. La comunità cristiana, radunata per la celebrazione eucaristica, domanda infatti il dono dello Spirito Santo: sulle offerte, anzitutto, perché diventino il corpo e il sangue di Cristo; e sugli astanti [i presenti], affinché, per la comunione al corpo sacramentale di Cristo, siano trasformati nel corpo di Cristo ecclesiale-escatologico. La preghiera della Chiesa mette così in interdipendenza dinamica il corpo sacramentale con quello ecclesiale; e non teme di subordinare il primo al secondo, rendendo palese, in tal modo, quale sia il fine ultimo della celebrazione eucaristica: la nostra trasformazione, la nostra tras-figurazione, la nostra "transustanziazione" nel corpo di Cristo. In questo orizzonte, le invocazioni che seguono la doppia epiclesi non fanno che allargare quella che è la domanda principale della preghiera eucaristica in direzione di tutti coloro per i quali si prega: la Chiesa celeste, la Chiesa terrestre con tutti i suoi soggetti, il papa, i vescovi, i presbiteri e i diaconi, tutto il popolo di Dio; ma anche la città e il mondo . Per tutti costoro, anche per chi non c'è, anche per chi non appartiene alla Chiesa, anche per chi può essere distante o indifferente, ci si fa carico del servizio della preghiera e si domanda un'unica cosa: ut unum sint, che siano una cosa sola, che vengano sempre di più trasformati nell'unico corpo di Cristo. «Che cosa si chiede nell'intercessione per la città e per il mondo in cui viviamo? Che i suoi abitanti siano trasformati "in un solo corpo", con tutte le implicazioni etiche e sociali, familiari e professionali, orizzontali e verticali, che questa domanda fondamentale comporta» (Cesare Giraudo). Ciò che appare di indubbio interesse è il fatto che, nel momento di massima identificazione della Chiesa - quello della celebrazione eucaristica -, essa avverte di non poter stare davanti al suo Dio senza farsi voce di tutti, credenti e non credenti, cristiani e non cristiani, appartenenti alla Chiesa e non. Solo i cristiani possono celebrare l'eucaristia, al punto che neppure i catecumeni possono parteciparvi pienamente: ma essi non possono mai celebrarla da soli! Per quanto pochi essi siano, per quanto modeste possano essere le loro assemblee, e che ciò si sappia o sia ignorato, essi portano sempre tutti nella loro preghiera: essa è sempre una preghiera sul mondo, con il mondo, per il mondo. Se perciò è vero l'antico adagio, che cioè lex orandi, lex credendi, se ne deve dedurre che questa "legge della preghiera" della Chiesa evoca qualcosa di molto profondo, non solo della fede della Chiesa nel mistero eucaristico, ma della fede a ciò che essa stessa è, al mistero che la abita. Infatti, come potrebbe la Chiesa pregare cosi, nel momento più alto del suo esprimersi e riceversi nella propria identità, se non perché essa si sa costitutivamente legata al mondo e all'umanità intera, se non perché avverte di essere responsabile di tutti, di esistere per tutti? Come potrebbe portare tutti nella sua preghiera più alta, se non perché essa sa di essere tanto più se stessa quanto più è con il mondo e per il mondo, con l'umanità e per l'umanità? Ma se ciò è vero, non abbiamo qui il segno, impresso nella carne della Chiesa, della sua ontologica umiltà? Nel momento in cui, di domenica in domenica, la Chiesa si nutre al banchetto eucaristico, essa impara sempre di nuovo, non solo di ricevere vita da Dio e di dipendere radicalmente da lui, ma di dipendere anche, sia pure in altro senso, dal mondo e dal resto dell'umanità. Perché lì impara, sempre di nuovo, che la sua vita viene da Dio; e che accogliere veramente questa vita significa portare con sé e in sé tutti coloro a cui questa vita vuole parteciparsi: in una parola, il mondo e l'intera umanità! Per questo l'eucaristia è forse l'evento ecclesiale in cui, in modo quasi plastico, la Chiesa esprime e al contempo apprende quello che è il segreto del suo essere, l'umiltà: perché lì, dove si nutre del divino banchetto, essa dice e impara che è relata al Dio di Gesù Cristo; perché lì, dove si ritrova radunata nell'unità e nella pluralità dei soggetti ecclesiali, essa dice e impara che è un popolo relato al suo interno; perché lì, dove si fa voce di tutti, essa dice e impara che è relata ad ogni uomo che ha la grazia di aprire gli occhi su questo nostro mondo.

don Roberto Repole, Il pensiero umile, 172-175