Il Vangelo fuoco che arde nonostante la cenere della storia

di Enzo Bianchi

C'è stata una stagione, che per la mia generazione è coincisa con la giovinezza, in cui le attese, le speranze, le forti convinzioni tipiche del tempo in cui i giovani si affacciano alla vita e vi entrano, erano convergenti con le speranze della chiesa e del mondo. Erano gli anni del disgelo tra l'occidente e l'oriente comunista, gli anni in cui si riprendeva un dialogo interrotto da tempo, e la primavera sembrava essere la metafora più appropriata per definire quell'epoca in cui molte realtà sembravano germogliare e alcune sbocciare. Questo avveniva anche nella chiesa: un papa che appariva innanzitutto come un cristiano; un concilio da lui voluto in cui ci si ascoltava, ci si confrontava anche aspramente ma con la passione della fedeltà al Signore; un dibattito tra singoli cristiani e tra comunità cristiane che avvertivano nel loro quotidiano il bisogno di mutamento, di rinnovamento, potremmo anche dire di conversione. Si respirava nell'aria una novità che non era l'arrivo di una “moda”, ma era un ritorno al Vangelo, alla forma vitae della chiesa primitiva. Per questo si parlava, con molto timore, anche di aggiornamento, qualcuno ardiva persino parlare di riforma della vita della chiesa. Per i cristiani con una certa consapevolezza era il Vangelo che diventava una presenza dinamica, un riferimento, un principio che veniva invocato come un'urgenza, una realtà da viversi concretamente e, oserei dire, visibilmente: questo non per “un'ostensione davanti agli uomini” ma per verificare che il Vangelo ispirava veramente la vita di molti cristiani ed era assunto dalla chiesa come presenza egemone. In questo cammino si coniavano parole ed espressioni nuove: ritorno alle fonti, riscoperta della chiesa dei padri, ispirazione alla comunità apostolica, autorevolezza della chiesa indivisa