Opinione pubblica nella Chiesa

di don Severino Dianich, teologo

Gli ingenui monsignori romani che hanno preparato  il Concilio avevano previsto che tutti i lavori avrebbero dovuto svolgersi con l'obbligo dei padri di conservare il segreto sul loro svolgimento. Se nel primo periodo la regola funzionò solo in parte, dal secondo in poi ogni sbarramento rimase travolto dall'inondazione delle informazioni nell'opinione pubblica, che ne accompagnò lo svolgimento in tutto il mondo con ampi e vivacissimi dibattiti. Anche questo fu grazia. Il “senso della fede” dei fedeli si coagulò, alla fine, nel “consenso della fede” espresso dai Padri nei documenti conciliari, ma non era rimasto un dato passivo né era stato trascurato da loro, come fosse irrilevante. Oggi certamente la comunicazione tra i fedeli non manca, anzi tanto è cresciuta quanto è aumentata la ricchezza dell'informazione. Ma non si può dire che altrettanto sia alto il suo carattere pubblico. Nell'area pubblica risuona forte la comunicazione dei vescovi e del papa, diretta ai fedeli e alla società civile, mentre è solo mormorata la comunicazione dei fedeli ai vescovi e al papa e alla società civile. Questo non fa bene alla Chiesa, né contribuisce alla sua missione. L'anima che fa esistere la Chiesa e la rende un corpo vitale è il dono divino della comunione, ma questa nuova energia vitale infusa nel cuore degli uomini opera nella storia attraverso la comunicazione fra gli uomini. Comunicazione fra tutti - ovviamente - e non solo fra alcuni, o solo da alcuni ad altri. Pio XII in un discorso del 1950 diceva che la Chiesa “è un corpo vivo, e mancherebbe qualcosa alla sua vita se le mancasse l'opinione pubblica: e di tale mancanza il biasimo ricadrebbe sui pastori e sui fedeli”. È un giudizio meritevole di grande considerazione: quando i giornali cattolici saranno i luoghi dell'opinione pubblica dei fedeli e non solo i portavoce dei vescovi la Chiesa sarà veramente “un corpo vivo”.

Dalla Home Page di
www.vivailconcilio.it