«Ne deriva la necessità di considerare il rapporto effettivo di un pastore con una comunità, come una delle condizioni essenziali che legittimano la sua posizione particolare nella chiesa. Le condizioni formali della validità della sua ordinazione e della legittimità della sua missione hanno senso in quanto informano una certa materia, cioè l'effettiva operosità carismatica del pastore nella comunione della sua chiesa. Il titolo della legittimità della missione condiziona l'esercizio del sacramento validamente ricevuto, perché intende garantirgli un legame di comunione con un'istanza superiore, quella gerarchica. Ma ugualmente gli dovrebbe essere garantito il legame di comunione con l'istanza inferiore, quella comunitaria. Come la mancanza di comunione di un prete con il suo vescovo non invalida il sacramento, così la mancanza di comunione di un pastore con la sua comunità e la dissoluzione di fatto dei suoi rapporti pastorali non cancellano in lui il carattere ricevuto con l'imposizione delle mani. Però, come il primo titolo di legittimità condiziona la sua posizione nella chiesa, così anche il secondo la dovrebbe condizionare. Un pastore di chiesa non può essere imposto perennemente ad una comunità, anche se di fatto non vuole o non riesce a stare in essa come principio della sua comunione, semplicemente perché è stato validamente ordinato e perché di quel compito, che non attua, è stato legittimamente investito».

Severino Dianich, Teologia del ministero ordinato, 281