BHOPAL - Era il 1984. La mezzanotte del 3 dicembre era appena passata, quando quaranta tonnellate di isoscianato di metile - utilizzato per produrre antiparassitari, annoverato tra i prodotti più tossici nel mercato chimico - fuoriuscirono dallo stabilimento della multinazionale statunitense che produceva un potente pesticida. Una nube urticante avvolse la città mentre dormiva. Oltre 3700 persone morirono all'istante, altre 16mila nelle settimane e negli anni successivi. Come poté accadere? Questioni di budget, probabilmente una decisa sforbiciata ai costi di manutenzione aveva abbassato i livelli di sicurezza. Le cause della fuga di gas non sono tuttora chiarissime, fatto sta che il disastro di Bhopal non è ancora finito. Ancora miete vittime, di seconda generazione. Bambini come Aadite, che quel maledetto giorno neanche erano stati concepiti, ma che hanno madri che quando li avevano in grembo bevevano acqua contaminata dalle scorie dello stabilimento distrutto.
Mai in tribunale: il risarcimento? 400 dollari. In tutto, le 500mila persone che nel 1984 respirarono i fumi hanno ricevuto una compensazione di 400 dollari dal colosso chimico Union Carbide. Ma sono migliaia quelli che hanno subito gli effetti successivi del disastro e non hanno visto un soldo. Alla vigilia di questo trentesimo anniversario cittadini e attivisti di Bhopal sono tornati a chiedere altri 1600 dollari per ogni sopravvissuto. Ma difficilmente verranno accontentati e avranno giustizia.
Mai nessuna bonifica. Così, mentre continua, senza troppo fervore, la disputa su chi dovrebbe smantellare i rifiuti tossici, lo scheletro della fabbrica è ancora lì come un cimelio minaccioso di una tragedia inconclusa.