Tullio scrive da Keren nel 1915
di Mara Haregù Pagani
Caro Primo,
ti scrivo dalla mia nuova casa.
In queste terre c’è posto per altri 20 mila italiani e più.
I coloni saranno la nuova aristocrazia, ascolta un buon amico: affrettati!
Tullio
cartolina da Keren, 8 ottobre 1915
La figura della donna eritrea, così come l’ascaro, assumono nella propaganda di inizio novecento ruoli molto simili. Se l’eritreo veniva dipinto prima come un selvaggio, con l’ascaro servile e fedele, l’Italia regala l’immagine del buon soldato italiano impegnato in una campagna civilizzatrice che ha quindi buon esito. All’inizio dell’occupazione il rapporto con la donna eritrea è definito con il madamato, una sorta di contratto matrimoniale a scadenza, che prevedeva il mantenimento della prole con la fine del rapporto. Non mancheranno, in verità, gli abbandoni di madre e figli che venivano così affidati agli istituti gestiti dai missionari.
La propaganda fascista dipingeva le donne eritree come la bella e calda terra d’africa da conquistare. La donna eritrea divenne il simbolo dell’azione colonizzatrice dove l’uomo bianco la domina sia per razza sia per genere e ne può disporre come vuole. Si era radicata l’idea che in Africa davvero tutto fosse possibile.
Succede però qualcosa che cambia le carte in tavola.
Nel 1933 appare la Legge Organica per l’Eritrea e la Somalia, in base alla quale potevano diventare cittadini italiani tutti quelli che, nati da genitori ignoti, avevano le caratteristiche somatiche che potevano farli ritenere figli almeno di un genitore di razza bianca. Nel 1936 le applicazioni di inaspriscono, non si ammetteva più che il meticcio figlio di un genitore italiano e di genitore suddito, potesse ottenere la cittadinanza italiana. La donna eritrea, da bella “faccetta nera” che attendeva ”la liberazione dalla schiavitù”, diventa causa dell’inquinamento della razza. E L’italia si troverà a fare i conti con un vero e proprio popolo di figli meticci.
Si cerca in tutti i modi di non incentivare la relazione coniugale con le donne eritree, invitando i soldati a portare con sé le proprie mogli e fidanzate. Avviene in questo periodo una vera e propria segregazione razziale che impediva agli eritrei di usare e frequentare gli stessi mezzi pubblici, bar, ristoranti, scuole e ospedali dei bianchi.
Per saperne di più:
Faccetta nera dell’Abissinia. Madame e meticci dopo la conquista dell’Etiopia – M. Strazza
Il diritto di fronte all’infamia nel diritto. A 70 anni dalle leggi razziali – a cura di L. Garlati e T. Vettor
La legalità del male. L’offensiva mussoliniana contro gli ebrei nella prospettiva storico-giuridica (1938-1945) -
S. Gentile
La ricostruzione dell’immaginario violato in tre scrittrici italofone del Corno D’Africa : aspetti teorici, pedagogici e percorsi di lettura – Igiaba Scego