Anche quest'anno, in moto durante i "giorni della merla". Ma a 11 gradi, purtroppo!

"E si meravigliava della loro incredulità" (vangelo di Marco 6,6)
Mc

"All'angelo della Chiesa che è a [...] scrivi:
"Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca" (Apocalisse 3,14-16).
Mc

«La pazzia del Vangelo non vince i poteri di questo mondo». È uno dei tanti passaggi significativi di questo testo che ho potuto leggere con gusto, in giorni tremendi per la Terrasanta, lacerata ancora una volta da un conflitto tra i più duri degli ultimi tempi. Purtroppo, sembra non essere cambiato molto in questa Terra dal tempo in cui la visitò il Poverello di Assisi: «So che in Terrasanta, dov’è nato, vissuto e morto il Principe della pace, questa non c’è, è ferita da tutti...». È così ancora oggi: la pace, di cui tutti parliamo, sembra essere la grande estranea di questo tempo. E avremmo bisogno anche oggi di un pazzo che, come il Poverello di Assisi, voglia «andare laggiù a predicarla e, se possibile, incontrare il sultano d’Egitto per annunciargli il Vangelo... e annunciare la pace anche qui». (continua a leggere:)
https://www.avvenire.it/agora/pagine/pizzaballa-il-vangelo-e-incontrarsi-parlando-di-pace?fbclid=IwAR3rLi6rREFDXAolh_ukQckhNUaYL2gsFY3Db7bjv9njf-oqjdjfooBGnKc

Nel giorno in cui veniva reso noto da Banca d’Italia che *il 5% più ricco delle famiglie italiane detiene il 46% della ricchezza netta complessiva del Paese* a fine 2022, e che *il 50% più povero delle famiglie italiane possiede solo l’8% della ricchezza*, la FIOPSD (Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Fissa Dimora) ha ricordato i *393 clochard morti nel 2022, cifra aumentata nel 2023 quando si è toccato il numero di 410*. Senza scordare che nei primi otto giorni dell’anno sono già stati 12 i morti. Una strage silenziosa (perché non vista e non raccontata), più di un morto al giorno con un macabro trend in ascesa (nel 2021 i deceduti furono "solo" 210).

La risposta della Chiesa a una richiesta di sostegno

di don Alberto Cozzi, teologo della diocesi di Milano e membro della Commissione Teologica Internazionale
Avvenire, sabato 6 gennaio 2024
parte 2
(...) Ciò che è emerso dalle varie reazioni alla Dichiarazione è il fatto che proprio la “pastorale” è ormai un terreno conflittuale, non pacifico, anzi animato da molte tensioni e preoccupazioni. É qualcosa di complesso. C’è chi vede in questo il segno che la nozione di “pastorale” non è mai stata chiara, né in sé né tantomeno nel rapporto con la dottrina. Certo non si tratta di una pura e semplice applicazione della dottrina ai casi concreti. La logica deduttiva non funziona nella varietà delle vicende della vita. C’è chi invece sottolinea come la dimensione pastorale sia un pericoloso pretesto per relativizzare la disciplina o anche un alibi per pratiche arbitrarie e disorientanti. Ma forse alla radice del problema c’è semplicemente il fatto che l’appropriazione della fede oggi non si dà più in un contesto segnato da un costume condiviso e pacifico, nel quale si viene a sapere in modo chiaro e univoco cosa significhi amare, crescere, lavorare, soffrire, trovare la propria vocazione e quindi il senso da dare alla vita. Questa incertezza rende più tortuosi i cammini personali e più ansioso il compito di vivere, nella ricerca della propria strada. L’intenzionalità pastorale a cui richiama papa Francesco si assume la responsabilità di prendersi cura delle persone anche in queste situazioni incerte e confuse, dotandosi di strumenti per individuare il passo possibile in ordine a un’esperienza di fede, fosse anche in condizioni limitate o fragili o ambivalenti. Non è possibile che per tanta gente non ci possa essere una parola, un gesto o un’attenzione che facciano sentire la vicinanza del Dio di Gesù Cristo, un Dio che guarisce e sostiene la vita.
É significativo l’esempio di benedizione proposto dal Comunicato stampa. La scena immaginata è più mediterranea o latinoamericana che mitteleuropea. Colpisce la tenerezza e l’empatia che vi traspare. Tutto parte da una richiesta da cui ci si lascia interpellare. Si tratta di rispondere alla domanda di un sostegno, che non chiede approvazione o assoluzione, né pretende qualche grazia spirituale speciale. Chiede la vita e i suoi beni essenziali, anche materiali e chiede di sentire che in questi desideri non mancherà il sostegno del Creatore e Padre buono, che ai figli che chiedono pane non dà pietre (Mt 7,9). La benedizione non ha la forma della consacrazione di una situazione da legittimare. Ha piuttosto la forma dell’apertura di un pezzettino di cielo su una situazione difficile, che sembra chiudere l’orizzonte della speranza. Il gesto chiesto, ossia la benedizione, dice che non si tratta solo di donare un sorriso, un saluto, una stretta di mano o una pacca sulla spalla. Ciò che è chiesto è un gesto proprio dell’esperienza religiosa, di cui si intuisce ancora il carattere promettente. La risposta a questa richiesta interpella il “cuore di pastore” e cerca di ritrovare un’intenzionalità pastorale autentica, che non congeda con freddo distacco.
Vista dal versante mitteleuropeo, questa benedizione pastorale, spontanea e informale, funziona invece come contenimento di eccessive corse in avanti. Non si tratta di predisporre rituali per benedizioni liturgiche ufficiali. Su questo si fa chiarezza. Emerge in ciò la consapevolezza della differenza dei contesti pastorali e un sano invito alla riflessione pacata e alla prudenza, proprie di chi non cerca soluzioni facili e immediate, ma avvia processi di discernimento sul bene possibile. (segue)

"Ma c'è qualcosa che ti frena
Certo è il tuo orgoglio
Che, che ti frega
Corri e fottitene dell'orgoglio
Ne ha rovinati più lui che il petrolio
Ci fosse anche solo una probabilità
Prendila".
Vasco Rossi, Giocala.

"I farisei dicevano a Gesù: «Guarda! Perché fanno in giorno di sabato quello che non è lecito?». Ed egli rispose loro: «Non avete mai letto quello che fece Davide quando si trovò nel bisogno e lui e i suoi compagni ebbero fame? (...) Mangiò i pani dell’offerta, che non è lecito mangiare" (vangelo secondo Marco, cap. 2).

*La risposta della Chiesa a una richiesta di sostegno*
di don Alberto Cozzi, teologo della diocesi di Milano
Avvenire, sabato 6 gennaio 2024
parte 1
"Leggendo il comunicato stampa del Dicastero per la dottrina della fede in ordine alla ricezione della *Dichiarazione Fiducia supplicans*, colpisce la quantità di volte in cui ricorre *il termine “pastorale”*. Vi si auspica un «periodo più lungo di riflessione pastorale»; si richiama la «proposta di brevi e semplici benedizioni pastorali» o ancora di «benedizioni spontanee e pastorali»; si chiede di «arricchire la prassi pastorale». La dimensione pastorale della missione della Chiesa, *dalle intuizioni iniziali di papa Giovanni XXIII attraverso il Vaticano II*, ha acquisito sempre maggior importanza e rivendica un suo spazio originale e una sua intenzionalità propria.
Tale ricorrenza quasi ossessiva potrebbe essere interpretata come una strategia per ridimensionare la portata della Dichiarazione o un segno di incertezza riguardo al senso del documento. Ma è più probabile che si tratti di un richiamo all’*intenzionalità che animava la Dichiarazione e che riprende una preoccupazione più volte ribadita da papa Francesco*: la sfida dell’ *evangelizzazione*, oggi, non consiste nel riaffermare la dottrina tradizionale, peraltro nota e indiscussa; ma neppure nel modificarla, aggiornandola alle mode del tempo. *La sfida “pastorale” chiede il coraggio di assumere le situazioni a volte confuse, intricate, incerte in cui si trovano tante persone, cercando di valorizzare il passo possibile*, lo spiraglio di cielo che si può aprire nel desiderio implicito o nell’invocazione appena sussurrata di un gesto di sostegno e benevolenza. (segue)

"Prendi con te il bambino e sua madre e fuggi" (Mt 2,13).

Un ebreo dice ad un amico: "Ti ricordi di mio figlio? Tu sai che l'ho sempre educato nel rispetto della religione ebraica. E' successa una cosa strana: l'ho mandato in Israele perché cresca da vero ebreo, e lui... e' tornato cristiano".
" Strano, gli dice l'amico, anch'io ho educato mio figlio nel rispetto della religione, ma quando l'ho mandato in Israele, e' tornato cristiano anche lui".
"Questo e' molto strano, parliamone al rabbino: "I nostri figli che abbiamo educato da veri ebrei sono andati in Israele e sono tornati a casa cristiani".
"Questo e' molto strano perché anche mio figlio e' andato in Israele e, malgrado sia stato allevato da vero ebreo, e' tornato a casa cristiano".
Allora cosa possiamo fare?.
E il rabbino:"Chiediamo al Signore: Signore di Israele, Dio di Abramo, Isacco e di Giacobbe, ascoltaci, vogliamo chiederTi un consiglio: i nostri figli, tutti degli ottimi ebrei, sono andati in Israele e sono tornati a casa cristiani, che cosa possiamo fare? ".
E Dio: "Questo e' molto strano, perché anche Mio figlio... ".

Michael Hodges, su FB il 24.12.2023
Durante il tempo intenso, il bisonte si gira e affronta la tempesta. Si dice che siano gli unici animali conosciuti a farlo perché dirigersi verso la tempesta accorcia la lunghezza della tempesta in quegli immensi spazi aperti.
In questo film si vede che è vero.
Tutti abbiamo tempeste nella nostra vita, alcuni più di altri. Tutti abbiamo delle cose che dobbiamo superare. In questa scena, là fuori con questo magnifico e leggendario animale a Yellowstone Park, la mia lente si è congelata dal ghiaccio e le dita punte dal freddo. Il vento ha quasi fatto cadere il mio treppiede e sapevo di avere solo così tanto tempo per farlo bene.
Tra i venti ululati e la neve laterale, ho seguito la guida del bisonte e anch'io, mi sono girato e ho affrontato la tempesta. E mi sono reso conto, in questa bufera di neve solo con me e il bisonte, che bisogna sempre seguire l'esempio del bisonte, per prendere a testa quello che la vita ti dà.
Perché il bisonte sa come accorciare la tempesta. E poi va verso la luce.
https://www.facebook.com/MichaelHodgesAuthor/videos/1046938589877054

Presepe in una delle chiese di Betlemme:

«Sai che i farisei, a sentire questa parola, si sono scandalizzati?». E Gesù rispose: «Ogni pianta, che non è stata piantata dal Padre mio celeste, verrà sradicata. Lasciateli stare! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!» (vangelo secondo Matteo, cap. 15).

“Ho capito, Signore. La pace non me la può dare nessuno. È inutile che speri. I governi, gli stati, i continenti hanno bisogno di pace anche loro e non ne sono capaci. E camminano tutti su strade sbagliate. Essi pensano che la pace si possa ottenere con le armi, incutendo paura agli altri stati e agli altri continenti. E intanto si armano, e studiano sistemi sempre più potenti e micidiali.

Tutti vogliono essere forti. Dicono: solo un forte può imporre il rispetto e la pace. Come se la pace fosse un fatto di imposizione e non d’amore. Io non ho mai visto che ci sia pace per queste strade. Questo è uno squilibrio di terrore: un’altra maniera per essere schiavi; una maniera apparentemente civile. Invece è barbarie come tutte le altre barbarie. Infatti il più forte dice al più debole: guai se ti muovi! E non ha importanza che magari la situazione del debole sia insostenibile, ingiusta, umiliante. Non ha importanza che sia, ad esempio, la fame o la mia condizione di uomo di colore a spingermi a gesti assurdi.

Ma verrà, uomini, verrà — e non è lontano: io per questo prego e spero — quel giorno che l’oceano nero di miseria e di dolore si metterà in moto, uscirà dai suoi confini con il boato della disperazione. Quell’oceano della collera dei poveri, degli oppressi, dei delusi! Un oceano misteriosamente ancora calmo. Ma fino a quando? Perché non può durare così. Ora la coscienza sta maturando in profondità e in silenzio; ma poi eromperà e allora sarà più notte della notte.(…)

Allora l’oceano dei poveri strariperà come se la terra fosse capovolta, scossa dalle fondamenta. Va bene: i potenti ci ammazzeranno in molti. Ma pure molti di loro saranno ammazzati. No, per queste strade della sopraffazione e del terrore non ci può essere pace”.

in “L’Osservatore Romano” del 18 marzo 2022 - Nel 1967 padre David MariaTuroldo partecipò, insieme a Giuseppe Lazzati, a una tavola rotonda organizzata dall’Ufficio cultura del Comitato provinciale della Democrazia cristiana di Milano. Riproponiamo stralci del suo intervento che venne pubblicato nel libro «David Maria Turoldo. La sfida della pace», a cura di Elena Gandolfi (Bellavite Editore, 2003).

La lettera di Elena Cecchettin: «I "mostri" non sono malati, sono figli sani del patriarcato»
di Elena Cecchettin
"Turetta viene spesso definito come mostro, invece mostro non è. Un mostro è un’eccezione, una persona esterna alla società, una persona della quale la società non deve prendersi la responsabilità. E invece la responsabilità c’è. I «mostri» non sono malati, sono figli sani del patriarcato, della cultura dello stupro.
La cultura dello stupro è ciò che legittima ogni comportamento che va a ledere la figura della donna, a partire dalle cose a cui talvolta non viene nemmeno data importanza, ma che di importanza ne hanno eccome, come il controllo, la possessività, il catcalling. Ogni uomo viene privilegiato da questa cultura.
Viene spesso detto: «Non tutti gli uomini». Tutti gli uomini no, ma sono sempre uomini. Nessun uomo è buono se non fa nulla per smantellare la società che li privilegia tanto. È responsabilità degli uomini in questa società patriarcale dato il loro privilegio e il loro potere, educare e richiamare amici e colleghi non appena sentano il minimo accenno di violenza sessista. Ditelo a quell’amico che controlla la propria ragazza; ditelo a quel collega che fa catcalling alle passanti; rendetevi ostili a comportamenti del genere accettati dalla società, che non sono altro che il preludio del femminicidio.
Il femminicidio è un omicidio di Stato, perché lo Stato non ci tutela, perché non ci protegge.
Il femminicidio non è un delitto passionale, è un delitto di potere. Serve un’educazione sessuale e affettiva capillare, serve insegnare che l’ amore non è possesso. Bisogna finanziare i centri antiviolenza e bisogna dare la possibilità di chiedere aiuto a chi ne ha bisogno.
Per Giulia non fate un minuto di silenzio, per Giulia bruciate tutto".
https://corrieredelveneto.corriere.it/notizie/venezia-mestre/cronaca/23_novembre_20/lettera-elena-cecchettin-a165ccdc-5bd8-4db1-bdaf-963424ba0xlk.shtml

"Chi si fa la guerra pensa che l'altro sia "il cattivo". Considera sé stesso "il buono". Giustifica la necessità della guerra grazie a questa opposizione tra me "buono" e te, antagonista, "cattivo".
È proprio per questa logica assurda che tutto è permesso, contro il cattivo. È lecito il suo contenimento e addirittura la sua distruzione.
Se il mio nemico è il cattivo, il processo di deumanizzazione e già iniziato: posso ucciderlo, posso bombardare la sua casa, città, scuola, ospedale perché è il simbolo di tutto ciò che considero il male assoluto.
"Deumanizzazione" è una parola recente. Significa, in sintesi, togliere l'umano da una persona. Renderla, cioè, un oggetto, una cosa. In questo modo, togliere la vita a quella persona non sarà considerato da chi la uccide un atto terribile e senza ritorno. Sembrerà un gesto "giusto", come succede nei videogiochi, quando si uccide non una persona ma un personaggio sullo schermo.
Uccidere un bambino, una ragazza, una persona con un drone - cioè con un robot - avvicina sempre di più la realtà al videogioco. Non c'è sangue, c'è solo un'immagine sbiadita su uno schermo: il missile che viene lanciato cade su un edificio, oppure su una spiaggia. Tutto è in bianco e nero, come se fosse un'ecografia.
La deumanizzazione è un processo che richiede tempo, perché occorre innanzitutto cambiare il modo di pensare delle persone. Saranno poi quelle stesse persone a combattere e uccidere "il cattivo", cioè il nemico. Si comincia con strumenti differenti dalle armi: si comincia con le parole, usate per trasformare il nemico in "cattivo". Così cattivo da non essere più umano".
Paola Caridi, Pace e guerra, Feltrinelli Kids

 
(...) "Oggi si vedono tutti i limiti, segnalati da molti, del modello del parroco di più parrocchie: itinerante, oberato di lavoro e burocrazia, sempre ovunque e in nessun luogo, costantemente in fatica e senza riuscire a costruire legami significativi. Si chiede troppo all’uomo, si trasforma la teologia del presbitero-pastore e si mantengono una serie di strutture non più necessarie. Tutto questo in un contesto che vedrà, ben presto, un’ulteriore forte diminuzione del numero dei preti. Si può affrontare il problema in altro modo?
(...)".
https://www.vinonuovo.it/comunita/esperienze-di-chiesa/possiamo-mettere-un-vincolo-sui-preti/?fbclid=IwAR1WunRNdcBB62U_LyXm6OijNTU8pY4ZYgjYTSATj-mLm7xEwWrFl__wtkc

(...) "Sembra di risentire Carlo Maria Martini, che amava quei luoghi: «*Ci sarà la pace quando capiremo il dolore degli altri*». Questa storia risplende, come una piccola luce nel buio.
L’orrore avvolge la Terra Santa — terra insanguinata, violata, oltraggiata — e tutto lascia pensare che non finirà presto: poveri figli di Abramo. Settimane, mesi, anni, che vanno ad aggiungersi a tanti altri anni, a qualche illusione e infinite delusioni. *I protagonisti sembrano interessati a infliggere dolore, più che a comprenderlo*. (...)
La difficoltà di capire il dolore degli altri non riguarda solo chi si trova dentro il conflitto. *Riguarda tutti noi, ed è perfino più grave perché non ha neppure l’attenuante della disperazione*. (...)
Alla base, anche qui, c’è l’incapacità di capire il dolore degli altri.
In giornate come queste, se il cuore non aiuta, la mente si perde. Diventa difficile pensare, faticoso comprendere, impossibile giudicare. A quel punto ci si muove con il vento, che soffia da ogni direzione: basta un’opinione televisiva, un’immagine in rete, una notizia sui social e ci si lancia in accuse sballate e difese grottesche. *Sarebbe più onesto limitarsi a dire, come papa Francesco: "La guerra è una sconfitta per tutti"*.
Se ci abituiamo all’orrore, finiremo per non provarlo più. Il dolore non è dispiacere. È molto più serio, più grave, più istruttivo".
Beppe Severgnini, 2.11.2023

Tra i fili di dialogo e incontro che, dolorosamente e con fatica, non si sono spezzati, in questi giorni difficili per israeliani e palestinesi, c'è l'esperienza dell'associazione Road to Recovery. (...) Road to Recovery è un’organizzazione formata da una fitta rete di volontari ebrei che trasportano, con le loro auto, malati palestinesi – per la maggior parte bambini, bisognosi di cure salvavita – fino ad ospedali israeliani. Vanno a prenderli e li riportano ai numerosi check-point dislocati in tutto Israele al confine con i Territori Occupati. (...)
https://www.terrasanta.net/2023/10/sulle-strade-per-la-guarigione-con-il-cuore-a-pezzi/?https://www.custodia.org/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=Newsletter_utenti%20ita_30_10_23

(...) "Ripetiamolo per l’ennesima volta: non è rimandabile al decennio prossimo un ripensamento sostanziale di ciò che il prete fa e dovrebbe fare nella vita quotidiana di una parrocchia media. E questo vorrebbe dire anche dare ascolto alle voci, di sacerdoti e laici, che sul campo hanno intuizioni buone su come si potrebbe fare diversamente".
https://www.vinonuovo.it/teologia/pensare-la-fede/i-preti-generosi-ci-sono-ma-li-stanno-quasi-ammazzando/

*A conclusione della fase 2023 del Sinodo*.
"La *Relazione di sintesi* non riprende o ribadisce tutti i contenuti dell’Instrumentum laboris, ma rilancia quelli ritenuti prioritari. Essa non è in alcun modo un documento finale, ma *uno strumento al servizio del discernimento che dovrà ancora continuare*.
Il testo è strutturato in *tre parti*. La prima delinea *“Il volto della Chiesa sinodale”*, presentando i principi teologici che illuminano e fondano la sinodalità. Qui lo stile della sinodalità appare come un modo di agire e operare nella fede che nasce dalla contemplazione della Trinità e valorizza unità e varietà come ricchezza ecclesiale. La seconda parte, intitolata *“Tutti discepoli, tutti missionari”*, tratta di tutti coloro che sono coinvolti nella vita e nella missione della Chiesa e delle loro relazioni. In questa parte la sinodalità si presenta principalmente come cammino congiunto del Popolo di Dio e come dialogo fecondo di carismi e ministeri a servizio dell’avvento del Regno. La terza parte porta il titolo *“Tessere legami, costruire comunità”*. Qui la sinodalità appare principalmente come un insieme di processi e una rete di organismi che consentono lo scambio tra le Chiese e il dialogo con il mondo.
In ciascuna delle tre parti, *ogni capitolo raccoglie le convergenze, le questioni da affrontare e le proposte emerse dal dialogo*. Le convergenze identificano i punti fermi a cui la riflessione può guardare: sono come una mappa che consente di orientarci nel cammino e non smarrire la strada. Le questioni da affrontare raccolgono i punti su cui abbiamo riconosciuto che è necessario continuare l’approfondimento teologico, pastorale, canonico: sono come degli incroci sui quali occorre sostare, per capire meglio la direzione da prendere. Le proposte indicano invece possibili piste da percorrere: alcune sono suggerite, altre raccomandate, altre ancora richieste con più forza e determinazione.
*Nei prossimi mesi le Conferenze Episcopali e le Strutture Gerarchiche* delle Chiese Orientali Cattoliche, facendo da raccordo tra le Chiese locali e la Segreteria Generale del Sinodo, svolgeranno un ruolo importante per lo sviluppo della riflessione. A partire dalle convergenze raggiunte, sono chiamate a *concentrarsi sulle questioni e sulle proposte più rilevanti e più urgenti*, favorendone l’approfondimento teologico e pastorale e indicando le implicazioni canonistiche.
Portiamo nel cuore il desiderio, sorretto dalla speranza, che *il clima di ascolto reciproco e di dialogo sincero* che abbiamo sperimentato nei giorni di lavoro comune a Roma si irradi nelle nostre comunità e in tutto il mondo, a servizio della crescita del buon seme del Regno di Dio".
https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2023/10/28/0751/01653.html

Sinodo - *La "Lettera al popolo di Dio"*. Il testo integrale del documento indirizzato dall'assemblea sinodale a tutta la Chiesa: il mondo in cui viviamo, e che siamo chiamati ad amare e servire anche nelle sue contraddizioni, esige il potenziamento delle sinergie in tutti gli ambiti della sua missione. La Chiesa ha bisogno di ascoltare tutti.
https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2023-10/lettera-popolo-di-dio-sinodo-sinodalita.html?fbclid=IwAR3zdvz7TQ2dWgSwg2CoGyfE7XE40Me0-e62ExeUpsPVTOfeMN74bFBHeRM

*Dal patriarca latino di Gerusalemme , il card. Pizzaballa*
"(...) In tutto questo frastuono dove il rumore assordante delle bombe si mischia alle tante voci di dolore e ai tanti contrastanti sentimenti, sento il bisogno di condividere con voi una parola che abbia la sua origine nel Vangelo di Gesù, perché in fondo è da lì che tutti noi dobbiamo partire e lì dobbiamo sempre ritornare. Una parola di Vangelo che ci aiuti a vivere questo tragico mo-mento unendo i nostri sentimenti a quelli di Gesù.
Guardare a Gesù, ovviamente, non significa sentirci esonerati dal dovere di dire, denunciare, richiamare, oltre che consolare e incoraggiare. (...)
Si, abbiamo il dovere di affermarlo e denunciarlo. Il ricorso alla violenza non è compatibile col Vangelo, e non conduce alla pace. La vita di ogni persona umana ha una dignità uguale davanti a Dio, che ci ha creati tutti a Sua immagine (...)
Avere il coraggio dell’amore e della pace qui, oggi, significa non permettere che odio, vendetta, rabbia e dolore occupino tutto lo spazio del nostro cuore, dei nostri discorsi, del nostro pensare. Significa impegnarsi personalmente per la giustizia, essere capaci di affermare e denunciare la verità dolorosa delle ingiustizie e del male che ci circonda, senza però che questo inquini le nostre relazioni. Significa impegnarsi, essere convinti che valga ancora la pena di fare tutto il possibile per la pace, la giustizia, l’uguaglianza e la riconciliazione. Il nostro parlare non deve essere pieno di morte e porte chiuse. Al contrario, le nostre parole devono essere creative, dare vita, creare prospettive, aprire orizzonti.
Ci vuole coraggio per essere capaci di chiedere giustizia senza spargere odio. Ci vuole coraggio per domandare misericordia, rifiutare l’oppressione, promuovere uguaglianza senza pretendere l’uniformità, mantenendosi liberi.". (continua a leggere:)
https://www.lpj.org/it/posts/letter-to-the-entire-diocese.html?fbclid=IwAR1CRZT2k2sX7ksbVuib1aj1yDIhoUGEFXyhxImgfgcK80kMp4mauo81bRY

«Abbiamo chiuso gli occhi», dice Mario Giro, membro della Comunità di Sant’Egidio. «Come si spiega la pace? Con la storia: a cosa hanno portato gli ultimi 75 anni di conflitto? A niente, per entrambi i popoli».
“Per la Comunità di Sant’Egidio, conflitto e povertà sono strettamente connessi. La guerra è la madre di tutte le povertà, e distrugge il futuro di interi popoli. Le popolazioni civili sono le prime vittime del conflitto, schiacciate nella tenaglia di opposti schieramenti. Tra i civili i più colpiti sono i poveri che nessuno difende, spesso vittime della violenza di entrambe le parti. C’è in Sant’Egidio la convinzione spirituale che la guerra è un male, che non è un destino ineluttabile nella storia dell’umanità e che la pace è sempre possibile. Occorre trovare le vie per realizzarla anche quando queste sono tortuose. La forza che sorregge gli sforzi della Comunità è la volontà di pace dei popoli ostaggi della guerra e della violenza, che non trova sbocco nella mediazione politica”. (leggi ancora...)
https://www.vita.it/gaza-per-troppo-tempo-abbiamo-fatto-finta-di-non-vedere-lodio-che-cresceva/

Proprio Domenica scorsa, come detto nella mia omelia.
(...) "Padre Ihor Boyko, rettore seminario di Lviv la mattina dopo, domenica 15 ottobre deve commentare il brano che la liturgia Greco Cattolica gli propone, Vangelo di San Luca al capitolo 6, 27-36. Il brano che domenica 15 ha risuonato in ogni chiesa ucraina, quello dell’«Amate i vostri nemici». «Parole difficili oggi per il nostro popolo, parole dure», dice padre Ihor.
Ecco il passo del Vangelo d Luca: «A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro. E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. (…) Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso».
Padre Ihor ricorda come tante volte le parole di Gesù abbiamo allontanato la gente che le sentivano dure, radicali, spesso incomprensibili, tanto è vero che un giorno Gesù chiede ai discepoli, ai suoi amici: “Volete andarvene anche voi?”. Per tutti risponde Pietro: “Signore dove andremo, tu solo hai parole che danno la vita”. Ovvero, commenta padre Ihor, che non ci fanno morire, che non ci fanno rinchiudere in noi stessi.
Questo Vangelo ha parole dure per me e il nostro popolo, ma come è possibile amare chi ci bombarda, chi stupra le nostre donne, chi rapina le nostre case e ci ruba i figli? Chi ci sottrae la terra e uccide i padri? Si domanda padre Ihor. Lo soccorre la prima lettura, un brano della Seconda lettera ai Corinzi 12, 9-10 in cui San Paolo scrive: “Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte”.
Mi compiaccio della mia debolezza, ripete il rettore, “da soli non ce la facciamo a perdonare il nostro nemico, è un invito troppo difficile, quasi irreale. Cosa possiamo fare allora noi nella nostra debolezza? Risponde alla domanda così padre Ihor, bisogna guardare a Gesù in croce che ha chiesto al Padre di perdonare dicendo quella frase potentissima “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Ecco anche noi, deboli e incapaci di perdonare possiamo, guardare a quella croce e dire le parole che lui ha detto, possiamo unire la nostra voce alla sua “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”.
https://www.vita.it/lviv-la-memoria-il-dolore-e-il-vangelo-di-san-luca/

Comunità. Un dono reciproco e condiviso
di Nunzio Galantino
In maniera decisa, D. Bonhoeffer afferma che la comunità non è il «sanatorio dello spirito» (La vita comune). ll teologo luterano sta parlando della comunità religiosa. Ma quanto egli afferma vale per qualsiasi forma di comunità; anche morale, politica o culturale. È sempre un organismo molto complesso, come testimonia la derivazione etimologica della parola comunità; dal latino communitas, composta da cum (insieme) e da munus, che è obbligo, ma anche dono, favore, offerta.
Si può dire allora che, in un primo senso, la comunità è un insieme di persone che si raccolgono intorno a un onere/compito, vissuto come dono reciproco e condiviso. In essa, il singolo gode di una rete di protezione e di una serie di aiuti per sviluppare la propria identità; senza un eccesso di vicinanza che ritarda o annulla il diritto alla distanza. A questo proposito, l’antropologo Helmutt Plessner afferma che «La comunità deve seguire il ritmo della danza, che è l’ethos della grazia, in cui tutto si gioca sul delicato equilibrio tra l’avvicinamento discreto e l’allontanamento sensibile».
La comunità vive quindi di un delicatissimo equilibrio tra le esigenze della persona e quelle della comunità. Vi sono infatti momenti in cui il carattere generativo che caratterizza ogni vera comunità deve farle accettare la migrazione delle persone che la compongono verso nuove esperienze ed altre identità. Per evitare che la comunità si trasformi in luogo-rifugio e firmi la propria rovina, certificata dall’appiattimento di aspirazioni, qualità, emozioni e intoccabili interiorità. (…)
in “Il Sole 24 Ore” del 8 agosto 2021

Amnesty International - Italia - 10.10.2023
"Quello che sta accadendo in questi giorni in Israele, a Gaza e nel resto dei Territori occupati palestinesi è sconvolgente. Il bilancio delle vittime civili continua a salire, così come il livello di violenza.
Le scioccanti uccisioni sommarie e i rapimenti di civili da parte di Hamas hanno dimostrato un agghiacciante disprezzo per la vita e per il diritto internazionale. Gli attacchi deliberati contro la popolazione civile e la presa di ostaggi sono crimini di guerra e non possono essere giustificati in nessuna circostanza.
Nel frattempo, gli incessanti attacchi aerei israeliani su Gaza stanno annientando decine di famiglie e distruggendo interi quartieri. Ancora una volta i civili a Gaza sono intrappolati e non hanno alcun posto per mettersi al sicuro. Il massacro di civili a Gaza non porterà né giustizia né sicurezza e Israele lo deve riconoscere.
Ieri il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha annunciato l'assedio completo di Gaza. Dopo 16 anni sotto un blocco illegale, l'ulteriore mancanza di acqua, cibo, elettricità e carburante porterà alla popolazione di Gaza sofferenze inimmaginabili. Questa è una punizione collettiva e si configura come un crimine di guerra.
I civili continueranno a pagare il prezzo più alto se non verranno affrontate le cause profonde della violenza, incluse l’impunità radicata per i crimini di guerra commessi da ambo le parti e il sistema di apartheid israeliano contro i palestinesi".

"Ci troviamo oggi di fronte ad una congiuntura sociale mai sperimentata nella storia. Siamo entrati in un nuovo periodo della vicenda umana sulla terra: vecchie strutture ideologiche e politiche sono cadute, si stanno cercando confusamente nuovi equilibri, si avverte la necessità di un nuovo ordinamento internazionale: la geografia del mondo sta cambiando. Se il muro che divideva l'Europa è stato abbattuto, si sente d'altro canto la spinta ad erigere tanti nuovi muri, talvolta più alti, in nome della difesa della propria sicurezza. Muri all'interno degli stati, muri tra nazione e nazione, un grande muro tra Nord e Sud del mondo. La tentazione del Nord è quella di ritirarsi, alzando una grande barriera che la protegga dall'insicurezza e dall'instabilità che viene dal Sud: è il grande muro che doveva proteggere l'antico impero romano dai barbari. L'attenuarsi della solidarietà, il crescente individualismo, la privatizzazione delle coscienze, le paure e le insicurezze che spingono l'individuo a ritirarsi nel privato, sono sintomi di un problema più generale: la rinuncia a pensare un comune destino universale nel segno della pace e della giustizia.
C'è un destino comune dell'uomo, davanti agli altri uomini e di fronte a Dio. Ogni credente, in questo nostro mondo, deve essere una scintilla di luce, un centro di amore, un fermento vivificatore nella massa: e tanto più lo sarà, quanto più nella intimità di se stesso vive in comunione con Dio.
Bisogna rilevare che in questi anni, attraverso esperienze diverse, è cresciuta e si è diffusa la coscienza comune della pace come dono, come bene trascendente, che non è riconducibile alla mera sommatoria degli sforzi umani, e che perciò va ricercata in quella "Realtà che è al di là di tutti noi".
Non c'è dubbio che proprio ai nostri giorni, in modi vecchi eppure nuovi, la guerra abbia trovato e trovi se non i suoi profeti, almeno i suoi fedeli. E non si può ignorare il tentativo che da più parti viene fatto di legittimare le scelte per la guerra.
La pace, quella autentica, che nasce non dalla precaria fine della guerra e da quella vittoria che significa sempre sconfitta per gli altri, è, come ha incessantemente ricordato Giovanni Paolo II, un bene indivisibile.
Questa pace, che è scritta nel cuore di ogni religione, non è solo la fine della guerra, ma è una realtà positiva più larga e profonda, il fine vero dell'umanità".
Carlo Maria card. Martini – Messaggio per la pace 1993

La parola del giorno di lunedì 9 ottobre 2023

VANGELO Lc 21, 5-9
✠ Lettura del Vangelo secondo Luca
In quel tempo. Mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, il Signore Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».

Papa Francesco ha risposto a 5 "dubia" (dubbi) che gli avevano fatto pervenire nel luglio scorso i cardinali Walter Brandmüller e Raymond Leo Burke con l’appoggio di altri tre cardinali, Juan Sandoval Íñiguez, Robert Sarah e Joseph Zen Ze-kiun. Le domande dei porporati, in italiano, e le risposte del papa, in spagnolo, sono state pubblicate sul sito del Dicastero per la Dottrina della Fede. Di seguito il testo con una nostra traduzione in italiano delle risposte del Papa:
https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2023-10/papa-francesco-risponde-ai-dubia-di-cinque-cardinali.html?fbclid=IwAR0qWGwsVSd8YgACYdpSWoK2_SNZhI8Xlgp0FJ6xMgBfY6mQUustWjrmsuA

Oggi è il sedicesimo anniversario dell'inizio dei miei post regolari sul sito-blog!
Tutti possono venire a conoscenza di ciò che penso e ciò che dico,
ma soprattutto possono accedere alle fonti che dissetano me.
Mc 230926

*Il Tempo del Creato* è la celebrazione cristiana annuale per ascoltare e rispondere insieme al grido del Creato: la famiglia ecumenica nel mondo si unisce per pregare e proteggere la nostra casa comune.
Il Tempo del Creato inizia il 1 settembre, Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato e si conclude il 4 ottobre, festa di San Francesco d’Assisi, patrono dell’ecologia amato da molte confessioni cristiane.
Vogliamo raggiungere i leader locali e invitare le nostre comunità a partecipare attivamente sensibilizzando sul tema e su come rispondere al grido del creato dove il Signore ci chiama nei nostri diversi contesto, creando legami e relazioni con tutti, come Popolo di Dio che si prende cura della nostra casa comune.
Quest’anno ci uniamo attorno al tema *“Che la giustizia e la pace scorrano”* con il simbolo di Un Fiume Possente. Attraverso la preghiera, la mobilitazione e le azioni sostenibili, questo Tempo del Creato 2023 può rinnovare profeticamente la nostra unità ecumenica e prendersi cura della nostra casa comune.
Ecco il fascicolo che raccoglie i contenuti di questo Tempo del Creato:
https://drive.google.com/file/d/1EsYowUpqnKgudUuyZvsebYV8nNyT2iJD/view

#sapere
di Gianfranco Ravasi
"Se sai, sei. Se non sai, sarai di qualcun altro".
Nonostante appartenga a una generazione e a una fascia storica del nostro passato – è morto, infatti, nel 1967 – don Lorenzo Milani rimane una figura ancora attuale, capace di stimolare e di provocare una società che permane sonnolenta e indifferente, nonostante la frenesia impressa dalla tecnica e dalla scienza. L’asserto che abbiamo citato, anche attraverso la forza dell’assonanza («se sai, sei»), centra un problema sempre rilevante, quello della necessità dell’istruzione e del suo nesso col potere. Se è vero ciò che affermava Qohelet, il sapiente biblico realistico, secondo il quale «chi più sa, più soffre» perché penetra nell’oscurità dell’anima e della vita umana, è altrettanto vero che una conoscenza superiore genera una possibilità di dominio maggiore sulla massa incolta.
E di converso produce in quest’ultima una forma di sudditanza, di rispetto, di dipendenza acritica.
È, però, da sottolineare che spesso nella storia si registra il successo di veri e propri ignoranti che alla povertà del loro sapere suppliscono con l’arroganza della retorica, del luogo comune, dell’inganno. È, questo, un rischio alimentato dalla nuova cultura digitale: lungo i canali della comunicazione informatica si cristallizza un potere prevaricatore spesso fondato sulla falsità e sull’incompetenza. Il vero sapere, allora, potrebbe essere il vaccino necessario per ribellarsi a questa deriva e per esorcizzare quel rischio.
in “Il Sole 24 Ore” del 10 settembre 2023

Ecco allora la nostra proposta: *qualora fossimo nelle condizioni di dover “togliere” una messa, conservare la possibilità che i cristiani possano radunarsi attorno al Signore Gesù, ascoltare la sua Parola, pregare con la liturgia, costruire delle relazioni significative tra i parrocchiani*.
A chi sarebbe rivolta questa proposta? Certamente la liturgia delle ore è bella e significativa per tutti (qualcuno ricorderà il libretto “Le ore” usato da CL o la “Diurna Laus” introdotta dall’arcivescovo Carlo Maria Martini), anche per coloro che la domenica parteciperanno alla messa. Una attenzione particolare la rivolgiamo a *coloro che – a causa della mancanza della messa in un orario e in un luogo a loro cari – rischierebbero di non partecipare alla messa o di seguirla solo in casa o di non incontrare più i fratelli e le sorelle della comunità…*
La liturgia delle ore ha lo stesso valore della messa? E’ sempre difficile e fuorviante dare “quantità di valore” ad una realtà (soprattutto se si tratta di persone… e di Persone divine, come in questo caso) e dobbiamo purificare la domanda. La domenica il ritrovo specifico dei discepoli di Gesù è la celebrazione eucaristica e a quella dobbiamo tutti puntare, vivendola in modo attivo e intenso. Ma se questo non fosse possibile? Non è giusto né vero affermare che “O si fa la messa, o non facciamo nulla” (tenendo le chiese chiuse o vuote). Il discernimento ci obbliga a porci questa domanda: quale è il meglio, il massimo per me possibile per lasciarmi incontrare oggi dal Signore e dalla comunità? Può forse ritrarsi la comunità dal compito di offrire tutti gli “strumenti di Grazia” per nutrire tutti i suoi figli?!
E se fosse una scelta di comodo (per non spostarmi in un’altra parrocchia della Comunità Pastorale, o per non cambiare un orario comodo, o perché è più breve…)? Come tutte le scelte dettate da pigrizia o interesse, non sono certo da assecondare!
*Che dire a proposito del precetto festivo? Così si esprime il Catechismo della Chiesa cattolica* (che sapientemente parla di “obbligo della domenica” o non di obbligo della messa”, ad indicare che il valore da custodire è il Giorno del Signore, anche se celebrato in modalità differenti): “L'obbligo della domenica. 2180 Il precetto della Chiesa definisce e precisa la Legge del Signore: «La domenica e le altre feste di precetto i fedeli sono tenuti all'obbligo di partecipare alla Messa»124. «Soddisfa il precetto di partecipare alla Messa chi vi assiste dovunque venga celebrata nel rito cattolico, o nello stesso giorno di festa, o nel vespro del giorno precedente »125. 2181 L'Eucaristia domenicale fonda e conferma tutto l'agire cristiano. Per questo i fedeli sono tenuti a partecipare all'Eucaristia nei giorni di precetto, a meno che siano giustificati da un serio motivo (per esempio, la malattia, la cura dei lattanti) o ne siano dispensati dal loro parroco126. Coloro che deliberatamente non ottemperano a questo obbligo commettono un peccato grave. 2182 La partecipazione alla celebrazione comunitaria dell'Eucaristia domenicale è una testimonianza di appartenenza e di fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa. In questo modo i fedeli attestano la loro comunione nella fede e nella carità. Essi testimoniano al tempo stesso la santità di Dio e la loro speranza nella salvezza. Si rafforzano vicendevolmente sotto l'assistenza dello Spirito Santo. 2183 «Se per mancanza del ministro sacro o per altra grave causa diventa impossibile la partecipazione alla celebrazione eucaristica, si raccomanda vivamente che i fedeli prendano parte alla liturgia della Parola, se ve n'è qualcuna nella chiesa parrocchiale o in un altro luogo sacro, celebrata secondo le disposizioni del Vescovo diocesano, oppure attendano per un congruo tempo alla preghiera personalmente o in famiglia, o, secondo l'opportunità, in gruppi di famiglie»127.
Ci sarà un prete a quella celebrazione? Finché ne avremo la possibilità, la liturgia delle ore sarà presieduta da un ministro ordinato, ma è previsto che sia guidata anche da un laico/laica o da una suora. Potrebbe essere l’occasione per la celebrazione personale del sacramento della riconciliazione.
Grazie all’arrivo di don Luca e all’aiuto festivo di don Martino, possiamo ancora presiedere le messe secondo l’orario consueto, ma il trend va decisamente (e da anni) in un’altra direzione: finché la Chiesa italiana continuerà a basare il raduno domenicale dei fedeli attorno alla celebrazione eucaristica presieduta da un vescovo o da un presbitero - a fronte del crollo del numero di questi ministri - il destino sarebbe la riduzione dei momenti di ritrovo-preghiera del popolo dei fedeli.
Invece - alla stragrande maggioranza delle comunità cattoliche sparse nel mondo – per mancanza di clero - non è data la possibilità di accedere alla messa settimanale e il vescovo o il presbitero arrivano una volta al mese o anche più raramente.
Certo, nella città di Varese e nel nostro decanato non mancano le messe festive… e potremmo anche dire che sono troppe. Ma il numero è anche legato alla configurazione della città (con le sue “castellanze”) e alla ampiezza delle chiese (tutte non molto grandi).
Magari un domani i cattolici varesini si ritroveranno per l’unica messa festiva tutti in basilica… ma è anche vero che il cristianesimo è nato da piccole comunità che si ritrovavano nelle case… e l’etimologia del termine “parrocchia” vuol proprio dire “chiesa tra le case”.
Rendiamo omaggio a quella affermazione che abbiamo sentito e ripetuto più volte: la comunità cristiana si costituisce attorno al suo Signore, che convoca attorno a sé affinché si ascolti la sua voce, con Lui si lodi Dio Padre, di Lui ci si nutra, per vivere di Lui pieni di Spirito Santo.
La liturgia eucaristica ha una sua innegabile particolarità: in essa si fa vicina a noi la Pasqua di Gesù, perché in forma sacramentale ci è dato di incontrare la sua vita offerta per noi, assumerla come nostro cibo, essere trasformati in essa. E’ il ritrovo settimanale dei discepoli di Gesù, nel giorno della sua risurrezione.
La storia ci consegna tante altre forme liturgiche (si veda il Catechismo della Chiesa cattolica dal numero 1667): per esempio i cosiddetti “sacramentali” (benedizioni, funerali, consacrazioni…) e “la liturgia delle ore” (che ritma il tempo della giornata: mattutino, lodi, ora media, vesperi, compieta).
La Chiesa, madre e maestra, conosce le difficoltà dei suoi figli rispetto alla messa : la frequenza settimanale alla messa è del solo 15% circa dei battezzati; sono cambiate le coordinate sociale e culturali; da qualche decennio è stata introdotta la messa pre-festiva (era per coloro che proprio non potevano partecipare la domenica e i giorni di festa… e col tempo è diventata comune, anzi spesso la più frequentata); i fedeli anziani e malati sono stati raggiunti nelle case e negli ospedali con i mezzi di comunicazione; in tanta parte del mondo i ministri ordinati non sono in numero sufficiente per raggiungere tutte le piccole comunità cristiane (fenomeno che vediamo ormai anche qui in Italia) e quindi i fedeli si radunano attorno ad un “responsabile” della preghiera e della catechesi.
 
 
 

* Le lodi mattutine alle ore 8.30 dei giorni festivi.

Alcuni criteri per orientarci

  • Da diverso tempo poniamo la questione: che valore ha oggi celebrare tutte queste messe in una città (…)?
  1. Non può essere data come unica ragione il calo del numero dei preti e il loro invecchiamento. (…)
  2. Da tempo proponiamo la valorizzazione delle ministerialità laicali. Come potremmo fare affinché il “buco” lasciato dallo spostamento di una messa possa essere colmato da un altro modo di ritrovarsi dei fedeli (lettura del Vangelo, rosario, preghiera dei salmi…)?
  3. Avrebbe un enorme valore simbolico convergere come fedeli in una sola messa festiva per ogni parrocchia (al limite, una al mattino e una al pomeriggio, se davvero fosse necessaria), facendo di quella celebrazione il focus della giornata della comunità (canti, preghiere, fraternità) e attorno a quella il “resto”: catechesi, convivialità, carità, visita ai malati, ecc.. Ma occorre tener presente che in alcune realtà la messa è proprio partecipata da una assemblea numerosa, che non potrebbe essere contenuta nello stesso edificio una volta sola al giorno.
  4. Il volto di presbitero che veicoliamo: un uomo che corre da un posto all’altro, celebra la messa e scappa via per celebrare altrove. Quale “pastore” farebbe così?! Chi vorrà mai vivere così la sua vita (dimensione vocazionale per i giovani)?! Connessa a questa scelta, anche quella della qualità della predicazione: si rischiano parole che potrebbero essere dette in ogni tempo e in ogni luogo, disincarnate da quella precisa porzione del popolo di Dio che noi ministri ordinati dovremmo servire e amare, anche “pascolare”.
  5. E’ giunto il momento di eliminare la celebrazione di messe (specie la domenica) aggiunte “in occasione di…”, “dentro la festa X…”, “Invitando il personaggio Y”, ecc. La messa non è devozione né folklore: è convocazione del santo popolo di Dio, per celebrare il memoriale della Pasqua del nostro Signore Gesù ed essere quindi costituito suo corpo. Non altro.
  6. “Ridurre il numero” (…) non è certo la soluzione: attualmente che le messe sono tante, partecipa circa il 15% dei battezzati… una debacle totale, che non vogliamo vedere. C’è molto da riformare nel modo di celebrare e di articolare la liturgia col resto della vita cristiana, e non lo si fa guardando al passato. Una- due messe in meno è già una indicazione di direzione (dalla quale - lo spero - non si deve tornare indietro); ma tra non molto tempo, bisognerà toglierne anche altre... e non sarà un dramma, anzi!
  7. Le prospettive annunciate da papa Francesco sono ben più ampie e chiedono un profondo cambiamento di prospettiva e di stile (spirituale e pastorale)… che abbiamo capito bene, ma di fronte al quale vengono poste non poche resistenze.

Abbiamo detto più volte che uno dei frutti più belli del tempo della pandemia è *il gruppo di volontari dell’accoglienza* che si è costituito nelle nostre parrocchie.
Quando sono stati tolti i vincoli sanitaria per la partecipazione alle celebrazioni, diverse parrocchie e la stessa diocesi sono ritornate sui loro passi e non hanno colto la ricchissima opportunità che questo servizio costituisce per una nuova visione della celebrazione.
Vogliamo elencare ancora una volta *i significati e i benefici della presenza di volontari per l’accoglienza* dei fedeli alle celebrazioni e per la loro cura:
1. sono il segno vivente e visibile che la celebrazione non è “cosa dei preti” e neppure dei soli chierichetti, bensì un evento comunitario a cui tutti partecipano, ciascuno con un suo ruolo;
2. manifestano il volto accogliente, servizievole e sorridente che dovrebbe avere la comunità tutta, specialmente verso chi si affaccia alla vita ecclesiale solo durante la messa festiva o le celebrazioni di funerali e matrimoni;
3. avvolgono di un alone di serenità-sicurezza il presidente della celebrazione e i presenti: un disguido, un imprevisto, una dimenticanza… sono affrontati in prima istanza dai volontari, con una presenza riconoscibile e relativamente “competente”;
4. si prendono cura del decoro dell’aula ecclesiale: foglietti, buste, ordine di panche e sedie… Sono tra i primi ad arrivare e tra gli ultimi ad andare via;
.. dulcis in fundo, salutano gli altri fedeli e si salutano quando si incrociano tra loro!
Per questi e per mille altri motivi, *siamo loro grati e vogliamo che non manchino nelle nostre assemblee*!
Anche tu, membro di questa comunità cristiana, puoi svolgere questo importante e semplice servizio.
Se vuoi altre info o vuoi *dare il tuo nome per proporti per un turno* (scegli tu ogni quanto potrai farlo), rivolgiti ai volontari, alle sacrestie o ai preti.
Grazie… con un sorriso o una stretta di mano!